Domenica 4 Gennaio >
(DOMENICA - Bianco)II DOMENICA DOPO NATALE
Sir 24,1-4.12-16 Sal 147 Ef 1,3-6.15-18 Gv 1,1-18: Il Verbo si
fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi.
Ogni anno ha una grande forza riscoprire che la Chiesa ci propone per
ben tre volte la proclamazione, l’ascolto e la lettura del Prologo di
Giovanni. Tre volte per porlo come sigillo sul cuore e sul braccio,
amore forte come la morte, passione tenace come gli inferi (Ct 8,6). E
non solo: diverse volte, in alternanza con l’introito della lettera
agli Ebrei, alcuni passi del Prologo stesso sono stati posti come
canto al vangelo, in particolare quello centrale in cui viene
proclamato l’avvenuto mistero dell’Incarnazione del Verbo e la
conseguente nostra figliolanza divina, resa disponibile proprio dalla
sua Incarnazione. Non commento qui questo testo, che è tutto da
leggere, interiorizzare, possibilmente anche memorizzare perché dimori
sempre dentro di noi come realtà per noi centrale sulla quale si
costruisce e ricostruisce incessantemente ognuna delle nostre vite e
la nostra visione della realtà. Ma molto bene in questi giorni un
teologo noto, Leonardo Boff, ha sottolineato l’importanza – data da
Gesù stesso – alla sinergia fra lui Verbo e lo Spirito Santo, che
esprime l’imprevedibilità, svela che Gesù non coincide con un
granitico e inamovibile deposito di verità rovesciate dall’alto in
basso sul mondo, ma quel “vento che soffia dove vuole e non sai di
dove viene né dove va” (Gv 3,8), con perenne freschezza, la creatività
di un amore che va in cerca degli smarriti e dei più dimenticati e che
abita pienamente in Gesù. “In Cristo abita corporalmente tutta la
pienezza della divinità” (Col 2,9): vi abita pienamente il Padre,
perché Padre e Figlio sono una cosa sola l’uno nell’altro (Gv 10,30;
17,1ss.) e chi vede il Figlio vede anche già il volto del Padre (Gv
14,8ss.); vi abita pienamente il Verbo di Dio che è quella Sapienza di
cui parla oggi la prima lettura, generata dal Padre da sempre proprio
per porre la sua tenda in mezzo agli uomini; vi abita pienamente lo
Spirito Santo, che lo sospinge senza sosta ad amare e dunque anche ad
aprire vie per l’incarnazione dell’amore. La mirabile seconda lettura
di Paolo, nella quale un po’ audacemente i liturgisti hanno scelto di
tagliare una parte dell’inno di apertura della lettera agli Efesini
(ma di certo per facilitare un’interiorizzazione maggiore e per
connettere strettamente l’inno al pezzo successivo), ci porta davanti
agli occhi del cuore alcuni elementi essenziali alla nostra fede: che
“Dio è il Padre di Gesù Cristo” e che “in Gesù Cristo” (questo “in” di
Paolo, tanto luminoso!) “siamo benedetti” anche noi: come? “Con ogni
benedizione spirituale”, cioè a dire con tutto ciò che ci occorre per
la nostra santificazione; e in Gesù Cristo ci ha anche “scelti”: da
quando? “Fin dalla creazione del mondo”! “Scelti” per cosa? “Per
essere santi e immacolati di fronte a Dio”: e come accade questa
santità e immacolatezza che è la nostra vocazione umana in Gesù
Cristo? “Nella carità”, che ci rende “simili a Dio” (1Gv 3,2) perché
“Dio è amore” (1Gv 4,8.16)! Fede cristiana come umanesimo pieno perché
l’umanità abitata da Gesù e mossa dallo Spirito Santo è coniugata in
modo crescente a un Dio la cui essenza è amore. E tutto questo ci
rende “figli adottivi” di Dio, accedendo a quella figliolanza che
prima era propria soltanto dell’unico figlio per natura, la Sapienza
Verbo divino che si è incarnato in Gesù. Le espressioni di Paolo sono
molto più piene e belle di queste piccole note di commento e quindi
alla lettura personale del testo santo si rinvia sempre. E a questo
punto l’inno si ricollega alla seconda parte, dove Paolo comunica di
aver avuto belle notizie sulla fede dei cristiani di Efeso e per
questo ringrazia Dio; ma come accade sempre nella vita di fede, il
ringraziamento è vissuto non per fermarsi lì, bensì perché “il Dio del
Signore nostro Gesù Cristo, il Padre della gloria, vi dia uno spirito
di sapienza e di rivelazione per una profonda conoscenza di lui;
illumini gli occhi del vostro cuore per farvi comprendere a quale
speranza vi ha chiamati, quale tesoro di gloria racchiude la sua
eredità fra i santi”. Fra gli altri, anche questo passo splendido
sarebbe da imparare a memoria perché Paolo oggi lo sta dicendo a noi e
siamo noi, tutti e ciascuno, che possiamo da oggi in poi sempre più
aprirci a uno spirito di sapienza e rivelazione per una profonda
conoscenza di Dio, mentre i nostri occhi del cuore sono illuminati per
comprendere a quale speranza siamo chiamati e quale tesoro di gloria
racchiude l’eredità di figli, di figli di Dio, fra i santi; quei
“santi” che, dice altrove Paolo, sono nostri “concittadini, familiari”
con noi “di Dio” (Ef 2,19). Quanto può davvero cambiare interiormente
la nostra vita, acquisire spessore, solidità, consistenza e insieme
duttilità, flessibilità, malleabilità per amore … Siamo posti
nell’eredità dei figli di Dio, nella disponibilità di usufruire del
tesoro dei santi, la vita di Dio in noi (A. Jori).