Domenica 7 dicembre 2014 - II Avvento (anno B) Nella mia bella comunità parrocchiale abbiamo appena vissuto, sapientemente accompagnati da don Roberto, l’esperienza di una semplice lettura dei testi domenicali condivisa e con un tempo di preghiera personale. Abbiamo così toccato, come immergendo le mani in una fresca acqua di torrente, l’inesauribilità della Parola di Dio che muove tutti verso l’unica direzione della comunione con Dio attraverso lo stupore di rivoli personali, parlando al cuore di ciascuno con sfumature di colore diverse. E così mentre don Roberto ci ha incoraggiato a mettere a fuoco il multiforme identikit di Giovanni Battista per interiorizzarlo – profeta che parla a nome di Dio, che pur in un austero stile di vita tanto quanto lo è il suo invito a conversione, non trascura però di svelare gli orizzonti sconfinati della divina misericordia -, qualcuno si è soffermato sul deserto come luogo d’incontro profondo con se stessi e per questo col Signore (luogo del cammino dell’Esodo e di una solitudine abitata dove Dio, trovandosi finalmente senza ostacoli a tu per tu con la sua creatura può finalmente parlarle al cuore riconducendola a Sé: Os 2); qualcuno sull’articolazione di invito a conversione e dono di consolazione nella quale (cito testualmente la luminosa espressione non mia) “Dio c’invita a guardarci dentro, ma standoci sempre alle spalle”; qualcuno su quell’irriducibile coraggio del Battista che lo fa permanere fedele al messaggio da recare anche quando esso è scomodo e anticonformista. Ancor più consapevole di prima, ove possibile, di quanto ognuno di noi possa cogliere di tanta ricchezza soltanto frammenti che rimbalzano gli uni dagli altri e gli uni verso gli altri e come ciascuno possa dirne qualcosa soltanto balbettando, condivido ora qui i frammenti che interiormente mi sono stati illuminati.
Nel cuore dell’annuncio di Giovanni Battista c’è la promessa dello Spirito Santo nel quale saremo battezzati, ossia immersi; e al termine del percorso delle domeniche di Avvento c’è una minuscola donna di Nazaret (da cui si diceva che nulla poteva venire di buono), che viene lei per prima immersa, più precisamente coperta dall’ombra dello Spirito Santo che la feconda da dentro. Allora la promessa di Giovanni Battista di essere immersi nello Spirito Santo attraverso quel Gesù che per opera dello Spirito Santo viene concepito nel grembo di Maria ci svela che ognuno di noi è predisposto per essere fecondato come Maria e come lei a concepire Gesù dentro di sé. “Viene uno che vi battezzerà nello Spirito Santo”: attraverso quel movimento di dilatazione senza limiti che congiunge doni di grazia personale a redenzione universale e transitando per Maria, lo Spirito Santo giunge fino a noi, dentro di noi, per renderci gravidi di Gesù e trasformarci in Gesù noi stessi. Comprendiamo dunque meglio quale sia lo splendore della consolazione che annuncia il Secondo Isaia. Ed è molto significativo che in questo inizio della seconda parte del libro di Isaia il profeta estenda a tutto il popolo precisamente quanto il Signore Dio nel tempio operò per il solo Isaia: allora a lui che resisteva a rispondere alla pur irresistibile chiamata profetica in quanto si sentiva uomo dalle labbra impure, Dio inviò un angelo a purificargli le labbra con un tizzone ardente e gli disse: ecco, “la tua colpa è espiata e il tuo peccato è interamente perdonato”, sei puro per poter annunciare al popolo i Miei disegni (Is 6); ora qui è a tutto il popolo-figlia di Sion che vien detta la stessa cosa: consolatela perché “la sua colpa è espiata e le sono perdonati tutti i suoi peccati”. Anche qui allora vediamo operante la stupenda opera di dilatazione, di irradiazione universale di quanto embrionalmente accade in uno solo. Il nostro meraviglioso Dio procede così, amando tutti ma uno per uno. Seguono poi immagini bellissime, che culminano in quella colma di tenerezza di Dio che “come un pastore raduna il gregge e mentre conduce con dolcezza le pecore madri, gli agnellini se li porta” stretti sul cuore. Alla luce di pagine tanto belle e cariche di tenerezza non è davvero lecito continuare a contrapporre il Dio delle Scritture antiche a quello delle neotestamentarie. Questo Dio di cui narra il Secondo Isaia è il Padre di Gesù e dunque Gesù stesso, animato tutto dallo Spirito Santo, che del Padre è il volto (Gv 14,8ss.), volto di luce (1Gv 1,5), volto dell’amore (1Gv 4,8.16).
La seconda lettura, in cui probabilmente Pietro o un discepolo a lui vicino descrive la nostra attesa di “cieli nuovi e terra nuova in cui – si noti – avrà stabile dimora la giustizia”, ci mostra una caratteristica assolutamente essenziale della nostra vita cristiana: noi siamo invitati a vivere da un lato affrettando la venuta gloriosa e definitiva di Gesù Signore come vincitore di tutta la morte e di ogni morte nella storia, ma dall’altro ad aspettare. “Affrettare e aspettare”: significa che certamente la nostra vita tende a un fine che è anche una fine di questo mondo ferito dal peccato, è vita che - come Paolo per conquistare Cristo (Fil 4,12) e la creazione protesa alla rivelazione dei figli di Dio (Rm 8,22ss.) - è sbilanciata in avanti a tendere il collo; ma allo stesso tempo è vita chiamata a valorizzare ogni istante, ogni passo e ciascun respiro in pienezza, perché ogni istante passo e respiro è tempo dell’incarnazione di Gesù figlio di Dio tra noi, d’immersione nostra nello Spirito Santo in fretta e attesa, in operosa pace (A. Jori).