DIARIO LITURGICO

Domenica 9 Novembre >  (FESTA - Bianco) DEDICAZIONE DELLA BASILICA LATERANENSE
Ez 47, 1-2.8-9.12   Sal 45   1Cor 3,9-11.16-17   Gv 2, 13-22: Parlava del tempio del suo corpo

Celebriamo di domenica la festa della dedicazione della Basilica Lateranense, per le cui origini e la storia si rinvia al link qui indicato. Ma al di là delle interessanti notizie, ciò che per noi importa nel momento in cui con fede celebriamo la festa, è discendere nelle acque profonde del suo significato teologico e mistico, quello che davvero ci disseta e nutre. Non casualmente uso la metafora dell’acqua, perché proprio questa “sorella molto utile e umile e preziosa e casta” (s. Francesco d’Assisi) è ciò che scaturisce abbondante dal tempio nella visione del profeta Ezechiele: che come ogni visionario nella fede, di certo guardava con gli occhi della carne il tempio della città santa mentre gli occhi della fede gli consentivano di vedere oltre, bucando il visibile per giungere all’invisibile, non per questo meno reale. Ezechiele vede dunque il tempio e acque sovrabbondanti di guarigione che ne fuoriescono bagnando e sanando tutto ciò che è intorno. Immagine di fecondità perenne e santa. Santità significa nella fede biblica piena congiunzione di umano e divino, realtà umane che vengono a tal punto visitate dalla vita di Dio da esserne interamente permeate.

C’è una connessione totale fra le tre letture. Il vangelo rivela cosa sia questo tempio o, meglio ancora, chi sia. Il tempio santo da cui scaturiscono acque di guarigione non è tempio fatto di pietre, ma di carne, di umanità, l’umanità di Gesù. Il tempio distrutto e riedificato in tre giorni è il tempio del corpo di Gesù, il tempio che è Gesù. Per questo Gesù nel quarto vangelo dopo aver parlato sotto metafora in questo modo – metafora di cui l’evangelista ci fornisce la chiave sottolineandoci che quando parlava del tempio quel tempio era il suo corpo - , non più di due capitoli dopo presenterà se stesso alla donna samaritana come l’acqua viva che se la si beve non si ha più sete in eterno e che diviene sorgente zampillante per sempre in chi la beve; e poi che viene un giorno in cui Dio non è adorato più sul monte dei samaritani né dentro al tempio della città santa, ma in spirito e verità; e poi più oltre ancora rivela se stesso come la verità, sicché comprendiamo che l’adorazione di Dio avviene nello Spirito Santo e in Gesù Cristo da dentro al nostro spirito, cioè la nostra parte più alta e profonda insieme, dove Dio e l’uomo si ridanno la mano come nell’opera di creazione vista dal mistico artista Michelangelo Buonarroti.

Dunque ecco il filo che unisce la visione a occhi ben aperti di Ezechiele e il vangelo: il tempio da cui scaturisce acqua sovrabbondante che guarisce si rivela essere il corpo di Gesù Cristo, la sua umano divinità che salva, congiungendo in sé e dentro ogni persona che gli si unisce, umano e divino, l’uno nell’altro, mistico scambio.

Questo è quanto afferma anche Paolo, sempre mirabile: ci rivela che noi siamo tempio di Dio, dimora dello Spirito Santo che abita in noi e che per pura grazia, senza nostro altro merito che la semplice accoglienza, ci ha resi tempio santo. E’ la diretta conseguenza di quanto abbiamo visto grazie a Ezechiele e poi Giovanni. C’è il tempio santo di Dio; ma questo tempio santo vero non è fatto di mura, bensì di carne, è un corpo, il corpo di Gesù; e dal momento che per mezzo dello Spirito Santo Gesù vive in noi e noi in Gesù trasformati giorno per giorno in lui, anche noi diveniamo in lui, come sue membra vive, tempio dello Spirito Santo che è lui e per lui con lui in lui siamo stati generati anche noi. Noi siamo immersi nel fiume che rallegra la città di Dio per sempre, come canta il salmista. Siamo nientemeno che parte delle acque di questo fiume, ognuno una piccola goccia di quelle acque. Per grazia lo siamo. Il Signore ce lo ricorda col canto al vangelo: “Io mi sono scelto e ho consacrato questa casa perché il mio nome vi resti sempre”. Siamo dunque scelti dal Signore per una vocazione sublime di consacrazione a Lui e per essere come la firma di Dio nella creazione, la trasparente presenza del Suo nome per sempre nel mondo. La nostra chiamata è splendida, a noi sta divenirne consapevoli e per questo infinitamente grati, cercando come corrispondervi, ma iniziando proprio dalla gratitudine, primo dono che possiamo fare al Signore e che apre il nostro cuore allo scorrere del fiume di grazia, dalle cui goccioline quand’anche minuscole traspare chiarissima luce.

A tal punto lo siamo che altrove Paolo ricorda che anche quando questa dimora di Dio che è il nostro corpo si dissolve, in quello stesso momento un’altra dimora ancor più stabile si costruisce in cielo per noi (2Cor 5,1ss.).

Ogni tempio di pietre che viene comprensibilmente edificato per generare spazi di adorazione da condividere come popolo di santificati e annunciare l’incessante opera di creazione e redenzione di Dio, ogni tempio di pietre dunque deve rinviarci al tempio di carne, al corpo santissimo di Gesù e alla nostra vocazione a vivere come creature nuove in Lui. Nello Spirito Santo Dio c’insegni come (G. Pascoli). Di certo comunque crescendo nell’amore, la pace, la gioia, la mitezza, la bontà, la purezza di cuore, “i frutti dello Spirito Santo” che “abita in noi” (Gal 5,16-18.22-23) (A. Jori).

 

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