Domenica 21 giugno 2015 - XII domenica del Tempo Ordinario Questa pagina si avvale della lectio condivisa in parrocchia giovedì scorso, accompagnata questa volta da me. Data la ricchezza grande dei testi, partendo proprio dal vangelo, riproduco qui di seguito, nella stessa forma di appunti per favorire poi l’incontro personale con Gesù attraverso il testo (lo Sposo deve crescere, io diminuire!), i passaggi che ho indicato proprio giovedì, nei quali ho cercato di evidenziare alcune cose davvero belle e significative della pericope di Marco.
1. Gesù annuncia un passaggio all’altra riva … E’ un passaggio fisico, ma anche metaforico verso un altro modo di guardarlo, verso un’ulteriore scoperta del mistero e dono della sua persona.
2. I discepoli lo prendono con sé sulla barca: Marco e solo Marco (cfr. lo stesso racconto nelle versioni di Mt 8,23-27 e Lc 8,22-25) nota luminosamente che lo prendono su “così com’è” e proprio così giungeranno a domandarsi finalmente “chi è costui”, passeranno effettivamente all’altra riva.
3. Marco e solo Marco nota che gli altri lo seguono con le altre barche, su cui Gesù non sta fisicamente presente: eppure ci sono. Significativamente al termine del vangelo di Marco è proprio un uomo di “un’altra barca” – il centurione - il primo che lo riconosce per quello che è, “figlio di Dio”, e questo riconoscimento paradossalmente avviene nel momento di maggior inabissamento umano, nell’ignominiosa e straziante morte di croce (Mc 15,39).
4. C’è un interessante parallelismo nel testo, strutturato su un doppio “ci fu”: ci fu … grande tempesta … ci fu grande bonaccia. L’intervento di Gesù sta nel mezzo di questi due “ci fu”.
5. E cosa accade nel mezzo? Nella prima fase (la grande tempesta), in sequenza: Gesù dorme, i discepoli guardano verso l’esterno e hanno paura, i discepoli svegliano Gesù, i discepoli lamentano che a Gesù non importa di loro; nella seconda fase (la grande bonaccia): Gesù è sveglio, Gesù spinge i discepoli verso il loro interno a guardare la loro paura, instaura un nuovo parallelismo fra avete//non avete … paura (avete)//fede (non avete). Gesù quindi spinge chiaramente a guardarsi dentro e a prendere in carico la propria paura! Anche questa è un’annotazione specifica di Marco, accennata in modo meno strutturato anche in Matteo, assente in Luca che insiste invece sulla fede, di cui Gesù altrettanto significativamente chiede “dove sta”, “dove sta la vostra fede”.
6. Gesù utilizza per il mare agitato le stesse parole che usa verso satana: “TACI!” (cfr. Mc 1,21-28). Non concede spazio, non entra in dialogo con le forze del male. L’agitazione delle acque – potremmo anche aggiungere: delle acque profonde - viene semplicemente messa a tacere (cfr. s. Ignazio di Loyola: le scelte devono essere compiute quando si è nella pace).
7. I discepoli non sanno ancora guardare verso l’interno, ma iniziano almeno a interrogarsi su chi sia Gesù: stanno dunque davvero passando all’altra riva dove, uniti a Gesù, Gesù stesso, le persone e la realtà vengono visti in modo nuovo.
8. La lettera di Paolo ci consente proprio di approfondire il precedente passaggio: “SE UNO E’ IN CRISTO E’ UNA CREATURA NUOVA, LE COSE VECCHIE SONO PASSATE, ECCO NE SONO NATE DI NUOVE” : questo versetto ci rende possibile fare un esercizio di ruminazione monastica, cioè mettersi dentro questo versetto, memorizzarlo, ripeterlo e tenerselo dentro nella mente finché scenda nel cuore e nelle viscere … ruminandolo.
9. Anche Giobbe viene sospinto da Dio verso l’interno che coincide con l’alto. Viene sospinto verso la percezione che Dio è Dio e quindi della sua creaturalità. Leggendo la Scrittura con la Scrittura ci viene incontro il versetto di un salmo: “Fermatevi e riconoscete che Io sono Dio” (Sal 46,10).
Sul percorso di Giobbe sono possibili molti approfondimenti sul percorso di Giobbe perché si tratta di un libro-miniera … Ne enumero qui alcuni:
- il percorso di Giobbe, che è allo stesso tempo trasgressivo (Giobbe non si contenta delle consuete risposte sul senso del dolore: quelle risposte che dava anche lui, giusto, prima della grande prova, e che gli forniscono i primi tre amici) e contenuto all’interno della fede (Giobbe resiste alla tentazione espressa dalla moglie di separarsi da Dio, di maledirlo).
- La prova che getta Giobbe nello sconforto più totale è una radicale malattia della pelle, attraverso la quale è come se Giobbe perdesse tutte le sue pelli (è analogo alle dieci piaghe d’Egitto. Cfr. l’affascinante lettura che ne fa la biblista Annick de Souzenelle); Giobbe discende nella propria ombra, negli abissi, nei terrori e quindi nella piena conoscenza di sé come pure di tutti i dolori/tutto il dolore dell’umano.
- L’universalizzazione di Giobbe, che diviene così profondamente, nella sua più profonda essenza sacerdote perché ha provato tutti i dolori, persino quello interiormente più atroce di voler scomparire, anzi ancor più di veder scomparire il giorno della sua nascita, essere risucchiato nel nulla. Giobbe è così disceso in un’interiorità così abissale da trasformarsi in ulteriorità che è pienezza dell’umano.
- Le risposte precostituite dei tre amici e l’apparire della figura del quarto amico che irrompe in scena, di nome Elihu, così simile a Elia e dunque al precursore, l’amico dello Sposo che irromperà per ultimo, la Voce di Dio stesso.
- Il percorso di Giobbe: dalla devozione a Dio all’amicizia con Dio e dall’amicizia con Dio alla coniugazione piena con Lui, che è nozze e sacerdozio, unione piena a Dio e all’umanità di ognuno. Per questo Giobbe finalmente concluderà esclamando che i suoi occhi ora vedono Dio, lo vedono ovunque, lo riconoscono luminoso nella profondità degli abissi (Sal 139,12). E diverrà molto, molto fecondo.
“Chi è dunque costui” a cui anche venti, mari e abissi obbediscono? (A. Jori).