Domenica 14 dicembre 2014 - III domenica d'Avvento - ANNO B E’ arduo contenere in una pagina o due un controcanto armonico alle tre bellissime letture di questa domenica terza di Avvento in cui siamo invitati alla gioia. Nella prima la Chiesa ha scelto di apportare un taglio dentro al testo del Terzo Isaia per connettere in modo più evidente due pezzi del libro: il monologo del consacrato di Dio nel quale egli presenta se stesso come colui che è stato inviato per consolare gli afflitti, liberare schiavi e prigionieri, medicare i feriti, annunciare grazia a tutti, è in tal modo strettamente relazionato a quello in cui una figura profetica dai tratti femminili canta la sua gioia nel Signore per essere stata da Lui sposata e cinta di ogni splendore. Così ci appare chiaro che le nozze col Signore, il matrimonio interiore con Lui che significa la condivisione piena della Sua vita, l’incarnazione del Suo amore, sono rese possibili dal tipo di missione messianica descritta prima: in fondo è come poi nel vangelo di Matteo, dove i benedetti da Dio, quelli che Egli riconosce come Suoi e porta per sempre dentro la Sua vita, sono coloro che hanno compiuto in vita opere di misericordia. Questa è la condivisione piena e vera della vita di Dio, non altro. Ancora una volta viene proprio da dire che più chiaro di così non si può. Per questo Giovanni Battista nel vangelo distoglie con decisione l’attenzione da sé per orientarla già verso il vero Messia, quello che egli annuncia e che ha i tratti del consacrato del testo di Isaia.

Al posto del salmo è stato collocato un pezzo del Magnificat cantato e probabilmente danzato, almeno con la vita, da Maria: le nozze con Dio sono per chi come lei vive di fede e grazia, per chi pone tutta la propria vita in Dio e di Dio coglie e accoglie il Suo volto di misericordioso amore.

A completamento di questo quadro le parole di Paolo, poche righe ma densissime di significati l’uno incastonato nell’altro, ci indicano con precisione alcuni atteggiamenti che favoriscono il compimento delle nozze della propria umanità e dell’umanità intera con Dio: innanzitutto pregare senza interruzione e nella preghiera incessante assumere soprattutto il rendimento di grazie al Signore. Potremmo dire, usando un efficace linguaggio ignaziano, che questa indicazione sta a principio e fondamento di tutta la vita di fede. Poi alcune altre indicazioni: “Non spegnete lo Spirito, non disprezzate le profezie”: da dare tutt’altro che per scontato di essersi già ben posizionati rispetto a questo orientamento; spesso infatti siamo proprio noi discepoli di Gesù ad aver paura della freschezza con cui lo Spirito ci parla invitandoci al rinnovamento pur nella fedeltà, a una fedeltà dinamica e attenta ai segni dei tempi. “Vagliate ogni cosa e tenete ciò che è buono”: anche questa operazione esige per essere vissuta di trovare spiriti liberi, aperti, esplorativi, non arroccati nella paura “Astenetevi da ogni specie di male”: e qui si esige di accompagnare alla libertà di spirito una solidità e saldezza che può scaturire come tale soltanto dall’amore che irrobustisce la volontà. Conclude Paolo luminosamente sottolineando che il nostro Dio è “il Dio della pace”; che questo Dio della pace “ci santifica” e se lo accogliamo può farlo “interamente”, in modo che “tutta la nostra persona, spirito, anima e corpo, si conservi irreprensibile per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo”. In senso stretto e profondo la santità coincide proprio con questa compattezza, irreprensibilità interiore, rifiuto di ogni patteggiamento col male finanche nei suoi più piccoli filamenti. Il motivo della nostra gioia, del nostro sentir echeggiare e rimbalzare fra noi il “gaudete” è che “degno di fede è colui che vi chiama: egli farà tutto questo!”. Gioiamo dunque perché siamo chiamati personalmente e tutti insieme alla santità che è partecipazione alla vita di Dio e perché la vita di Dio è grazia e amore (A. Jori).

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