Domenica 30 Novembre 2014 - I domenica di Avvento anno B   Il tempo ordinario si è concluso con il vangelo di sabato proprio con l’invito di Gesù a “vegliare e pregare” per non cedere alle dissipazioni e agli appesantimenti: ora ritroviamo questo invito proprio qui, in questo vangelo della prima domenica di Avvento, cogliendo la continuità nel Signore dei tempi liturgici che si danno la mano tra loro orientandoci verso la Stella del mattino, Gesù Figlio di Dio incarnato. Rivolgiamo un momento l’attenzione proprio a quelle due sottolineature del brano di ieri: le “dissipazioni” sono movimenti di dispersione rispetto al centro; gli “appesantimenti” lo sono di abbassamento rispetto all’altezza verso cui siamo chiamati quasi naturalmente (come nel Paradiso rivela Beatrice a Dante) ad ascendere lievi, luminosi e veloci. Oggi l’invito di Gesù conduce la nostra attenzione soprattutto sul fatto che non conosciamo giorno e ora del suo ritorno, che potrebbe dunque coglierci impreparati. Noi siamo abituati a ricevere questo tipo di esortazioni come una sorta di minaccia proveniente da un Dio che mira a farci paura per tenerci soggiogati a Sé: niente di più deviante di questo. Dio non vuole mai la nostra attenzione per timore, ma la cerca e ama per puro amore nostro ed è precisamente per amore che ci desidera ben preparati e centrati, raccolti. Se abbiamo vissuto esperienze di intensa ricerca di Dio o di sensazione di avvicinamento forte di Lui o a Lui – quale per esempio può accadere senz’altro in esperienze cosiddette mistiche d’innalzamento e inabissamento in Dio; ma anche in esperienze umanissime come per esempio quello della malattia, del coma e della dipartita dei nostri cari tanto cari – sa che quelli sono momenti in cui anche una persona non interna alla vita di fede e che non ha vissuto mai esperienze mistiche avverte nella coscienza risuonare la domanda sul senso della vita e sull’esistenza di Dio. I momenti in cui ci troviamo faccia e faccia con la morte sono anche quelli in cui siamo posti in braccio alla vita nel suo spessore più profondo. E il Signore, che ci ama tanto – lo ripeto con convinzione piena: che ci ama tanto – sa bene quanto sia importante essere preparati, con quanto spessore, profumo, con quanta intensità e bellezza, con quale vibrazione interna si possono vivere questi momenti, come pure e forse a maggior ragione quello nostro se si è preparati; quale intensificazione e approfondimento della nostra dignità umana viene generato dall’essere preparati, raccolti nel centro ed elevati dal centro in altezza, ampiezza e profondità. E’ questa evidentemente l’esperienza che vivono i cristiani di Corinto a cui Paolo scrive, lodandoli per la loro vita di fede arricchita di ogni conoscenza del Signore e nello stesso tempo rendendo questo elogio un rinforzo per non stancarsi di camminare. Ed è la nostalgia di questo centramento profondo in Dio che muove il profeta nella prima lettura a implorare Dio di ricondurre se stesso quale parte del popolo intero alla vita di comunione con Lui, a quella pienezza non altrimenti raggiunta. A tal punto la desidera il profeta da desiderare e chiedere che il Signore Dio squarci i cieli e discenda. Ebbene per noi, nella nostra fede nella nostra speranza nel nostro amore, questo squarcio dei cieli e questa discesa sono avvenuti. Proprio oggi iniziamo ad attenderli come ogni anno di nuovo. “Viviamo ogn’anno l’attesa antica / sperando ogn’anno di nascere ancora / di darTi carne e sangue e voce / che da ogni corpo Tu possa risplendere” (D.M. Turoldo). Dentro questa attesa, se la viviamo così intensamente, facciamo nostra l’invocazione del salmista: “Signore, fa’ splendere il tuo volto e noi saremo salvi”. La nostra umanità si salva in Te, in Te con Te per Te ritrova la sua piena dignità e il suo splendore. E sta nel “Cristo in noi, speranza della gloria” (Col 1,26-27) il cuore pulsante del vangelo, l’inesauribile incarnazione del Figlio di Dio iniziata in Gesù e che può proseguire dentro ognuno di noi, quali suoi luminosi frammenti (A. Jori). 

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